Il caso: accesso ai dati bancari e licenziamento
Un dipendente di un istituto bancario ha effettuato accessi non autorizzati all’elenco clienti della banca per visionare la posizione di diversi correntisti, inclusi soggetti non assegnati alla sua gestione. Gli accessi sono stati eseguiti senza una specifica esigenza di servizio, sebbene il lavoratore fosse in possesso delle credenziali informatiche necessarie. L’istituto bancario, appresa la violazione, ha proceduto con il licenziamento per giusta causa, contestando al dipendente gravi violazioni, tra cui quella sulla normativa privacy e protezione dei dati personali.
Le decisioni della giustizia: tribunale e corte di appello
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti all’Autorità Giudiziaria, ottenendo esito favorevole sia in primo grado che in appello. I giudici hanno ritenuto sproporzionato il licenziamento basandosi su due elementi principali:
- Mancata affissione o consegna del codice disciplinare, ovvero del documento aziendale che stabilisce le regole per l’uso degli strumenti informatici e le relative sanzioni per eventuali violazioni.
- Tipologia e tempistica degli accessi effettuati: secondo la Corte di Appello, le interrogazioni non avevano riguardato movimentazioni di conti correnti e si erano svolte in tempi brevissimi. La Corte ha dunque ritenuto l’infrazione di particolare tenuità e il licenziamento una misura sproporzionata.
L’intervento della cassazione: conferma del licenziamento
La Corte di Cassazione ha ribaltato le precedenti decisioni, ritenendo il licenziamento per giusta causa legittimo. La sentenza sottolinea che l’accesso a dati bancari senza giustificato motivo costituisce una grave violazione della privacy e delle norme sulla protezione dei dati personali. Secondo i giudici:
- Il possesso delle credenziali non autorizza automaticamente la consultazione di informazioni riservate senza una specifica esigenza di servizio.
- La tutela dei dati personali è un principio prioritario, e la violazione può comportare il licenziamento immediato.
La sentenza della Cassazione rafforza l’importanza della protezione dei dati sensibili e il rispetto delle normative aziendali e settoriali. L’accesso non autorizzato a informazioni riservate può dunque legittimare il licenziamento per giusta causa, rafforzando le responsabilità dei dipendenti e delle aziende nella gestione della sicurezza informatica.